Centinaia di statue, decine di affreschi colossali, architetture e opere idriche, ingegneria stradale, itinerari devozionali nati da un preciso programma iconografico, costituiscono il fenomeno dei "sacri monti" circoscrivibile alle Alpi lombardo-piemontesi e sviluppatosi tra il Cinquecento e il Seicento, voluto dai Borromeo, attenti al "catechismo indiretto" dell'arte rivolto a tutti i fedeli indistintamente. Varallo Sesia vanta quarantaquattro stazioni che riproducono luoghi santi della Palestina, Orta celebra in una dozzina di cappelle la vita di San Francesco, ma Varese è considerato il monumento artistico più rilevante per l'unitarietà del soggetto e dell'esecuzione, un vero gioiello, una rara testimonianza, di scultura e pittura e architettura del primo Seicento lombardo. Un'operazione durata un secolo.
La popolazione varesina intenta nel partecipare sia fattivamente sia con contributi in denaro. A capo un uomo: l'architetto Giuseppe Bernascone, autore della torre di San Vittore; con lui decine e decine di operai. Ma soprattutto scultori e pittori, da terre lontane e vicine, fissano la loro dimora a Varese, si legano in contratto con la Fabbrica del Santo Rosario e lasciano perenne testimonianza di quella grande e rigogliosa stagione artistica, non solo sul Monte, ma anche nella fabbrica della Basilica di San Vittore e in chiese minori, dove scolpiscono simulacri o lasciano teleri. Per quanto affetto e per quanto legame esista tra i varesini e il Sacro Monte, è oggi impensabile riuscire a immaginare concretamente la grandiosa impresa compiuta dai nostri avi, e che ancora adesso costringe studiosi e curiosi da ogni parte del mondo a giungere sul posto e a percorrere l'antica via sacra per comprenderne la maestosità.
Per trasportare i materiali dal Canton Ticino e da Viggiù fù allestito un apposito accesso portuale a Porto Ceresio, che funzionò per la fabbrica anche dopo la scoperta di una cava di marmo sullo stesso Sacro Monte.
Quattordici stazioni, tre archi, due fontane, la chiesa dell’Immacolata Concezione, inerpicate per la china del monte domato in una lastricazione a ciotoli, attendono il fedele che voglia visivamente contemplare i misteri del Santo Rosario fino al raggiungimento della vetta nel Santuario di Santa Maria del Monte.
Un'opera monumentale di così vasto respiro che abbraccia un secolo di storia artistica italiania, coinvolge artisti italiani e stranieri, traduce il complesso esito del concilio Tridentino in un’appagante viaggio entro la Dottrina. E alla base di tutto la scultura e la pittura, legate in intimo appoggio e strette al paesaggio che sposano all’architettura e all’ingegneria.
Una “fabbrica” veramente unitaria e nella quale si possono scorgere i linguaggi del tempo, collocata “in gloria del monte” in vista dei fedeli padani e degli elvetici.
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Annaemy